Qualcosa in cui credere

Prendo in prestito una frase di una canzone come inizio di questa mia riflessione.

E se non hai niente in cui credere,
non avrai niente che puoi perdere.
Sì, tranne te.

Ecco. Riflettevo in questi giorni, nelle mie peregrinazioni mentali, sull’importanza di credere in qualcosa. C’è chi ha una fede religiosa. Io personalmente non rientro in questa categoria e talvolta provo invidia. Ma la verità è che la vita offre a tutti la possibilità di credere in qualcosa seguendo o la propria spiritualità o la propria indole.

Ecco che allora forse anche io credo in qualcosa: da due anni credo nella corsa. Credo in uno stile di vita diverso. Credo nello sviluppo della propria capacità di superare il limite. Credo nella resilienza, un termine abusato, spesso ridicolizzato dalle mode, ma che ha in se il valore del saper superare le difficoltà.

Credo nei valori dello sport. Credo nel tempo dedicato a se stessi. Credo nel coltivare una passione.

Credo nella natura. Credo nei fontanili, che irrigano la mia terra, quella dalla quale provengo: la pianura padana fatta di campi di grano, risaie, granoturco.

Credo nelle radici salde da cui dipendiamo e nelle ali che ognuno di noi ha per spiccare il volo.

Credo anche nella paura, perché no. Nella paura del domani, nella paura di non farcela. Probabilmente non sarà così per tutti ma è proprio nei timori, spesso, che mi sento Vivo.

Insomma, credo in quel qualcosa che ti spinge ad andare avanti anche quando credi di non potercela più fare.

E credo che credere sia importante. O almeno credo.

runner extralarge ombre che corrono

Ombre che corrono

Che sensazione. Strana e stupenda al tempo stesso. Sei stanco, hai la giornata alle spalle. Fa freddo, perché è gennaio e il vento gelido graffia coi suoi artigli affilati. È buio pesto perché il sole è andato a dormire ormai da tempo.

Posi lo zaino, levi la giacca, saluti tua figlia. Poi ti vesti al volo,
indossi le scarpe, ti copri di tutto punto ed esci. Hai un obiettivo e poco
importa se sei esausto, preoccupato, talvolta indolenzito qua e là. Rimane
tutto fuori. Un pò di stretching, due passi di riscaldamento e parti.
E lì, per chi corre in un paese di provincia come me, inizia un percorso tra il
mistico e l’avventuroso. Sono ormai le 20 passate, sei solo in giro. Le uniche
persone che incroci a piedi sono a passeggio col cane o condividono la tua
stessa passione. Questi ultimi li riconosci in lontananza, dal colore dei
vestiti.
Passo dopo passo, per quanto illuminato possa essere il percorso, ti addentri
nel buio. Ombre, suoni, colori, paesaggi: è tutto sfumato.
Attorno a te il silenzio. Qualche abbaio in lontananza, qualche auto che
sfreccia, e poi ci sei tu. Il tuo passo, il tuo respiro, la tua fatica.
Quella fatica che km dopo km ti pettina i pensieri, riordina le idee, ti dona
entusiasmo.

Hai le gambe pesanti, senti la stanchezza ma ti sei dato un obiettivo e non
tornerai mai a casa senza averlo raggiunto.
Scacci indietro l’idea di interrompere l’allenamento facendo spazio a un altro ragionamento, spostando il focus, pensando ai risultati che hai ottenuto e a quelli che otterrai. A quella gara che vorresti correre.

Il tuo pensiero prende il volo, in quel momento sei in un’altra dimensione.
Puoi perfino vedere la tua figura dall’esterno. Il tempo si cristallizza.
Ultimi chilometri, sei sulla strada verso casa, un ultimo tratto di fatica sotto
quel cielo freddo e etereo.
All’arrivo rallenti, camminando, per riprendere possesso del tuo fiato. Il
battito diminuisce, i muscoli si distendono, il respiro si normalizza.

Sei stanco morto. Ma sei felice.