Corsa e vaccino Covid: la mia esperienza

Ebbene sì, eccomi tornato su queste pagine. Scusate il ritardo, mi verrebbe da dire. Ma ahimè questo 2021 ha portato con sé una serie di eventi e novità che mi hanno per lunghi tratti distratto dalla corsa. Corsa che però, sia chiaro, è sempre stata lì al suo posto. Sacro rifugio, prezioso sfogo, angolo di libertà assoluta.

Non ho mai smesso di correre. Semplicemente, ho smesso di parlarne, a tratti.

Sono qui oggi per parlare della mia esperienza con il vaccino Covid e la corsa, proprio oggi che mi sono allenato per la prima volta dopo la seconda dose. Premessa: non ho mai esitato, mi sono vaccinato appena possibile, credo nella scienza e credo nel ruolo che ognuno di noi ha nella comunità di cui facciamo parte. E invito tutti a farlo: vaccinatevi. Solo così usciremo da questa situazione surreale definitivamente.

Fatta la doverosa premessa, torniamo al focus di questo articolo: come mi sono comportato con gli allenamenti? Semplice, con l’ingrediente che cerco di mettere in tutte le decisioni che prendo: il buon senso.

Dopo la prima dose non ho avuto alcun sintomo, e mi sono allenato direttamente il giorno dopo. Ero in forma, in forze, e in quel caso non ho modificato i programmi della settimana.

Nel caso invece della seconda dose ho avuto, il giorno seguente, un momento di affaticamento, senza febbre ma con spossatezza tangibile e qualche sintomo influenzale lieve, appena accennato, che però non mi ha permesso di allenarmi. Per cautela sono rimasto a casa tranquillo, per riposare. Il giorno successivo, a 48 ore dal vaccino per intenderci, il mio corpo è tornato in forse definitivamente, spingendomi a uscire a correre.

Stasera, dunque, mi sono allenato, avendo ricevuto la dose di vaccino venerdì nel primo pomeriggio. Tutto ok.

Nonostante la fatica per la temperatura di un normale pomeriggio di luglio, la soddisfazione a fine corsa è stata doppia: da una parte la sensazione di benessere dopo un buon allenamento, dall’altra la consapevolezza che i lievi sintomi conseguenti al vaccino sono definitivamente svaniti.

Non resta ora che guardare al futuro con fiducia ed energia.

“Oltre il confine”: un libro sulla corsa, che parla dell’Africa

Dopo le tante interviste che mi sono state fatte negli ultimi due anni, mi sono sempre detto che avrei dovuto iniziare ad intervistare a mia volta per raccontare storie degne di nota. Stavo solo aspettando l’occasione giusta. E come sempre, l’occasione giusta è arrivata. Stefano (che di cognome fa Pampuro, già autore di Ogni corsa è un viaggio: Storia di una generazione che ha dominato la maratona) mi ha contattato qualche tempo fa per parlarmi del suo nuovo libro, “Oltre il confine” (disponibile – per ora in pre-ordine – qui), e devo dire che sin da subito gli argomenti da lui affrontati in questa nuova opera mi hanno affascinato. Perché non si tratta di un libro che parla solo di corsa, ma parla anche di un viaggio in una cultura lontana, in un periodo storico che a causa della pandemia che stiamo vivendo non ha molti precedenti.
Un viaggio tra Kenya ed Etiopia, raccontato in un libro dettagliato, ben scritto, appassionante.
Un racconto personale che assume spesso i tratti di un romanzo.

L’Africa è storicamente riconosciuta come patria di grandi maratoneti, un continente in cui la corsa è la cosa più naturale per l’uomo. Non a caso le ultime generazioni di maratoneti hanno avuto campioni provenienti da quelle zone (ultimo ma non ultimo, Eliud Kipchoge, che Stefano ha visto correre dal vivo durante questa sua esperienza).

Stefano durante la scrittura

Dopo aver letto il libro, del quale svelerò il giusto perché credo davvero che valga poi la pena leggerlo, ho chiesto a Stefano di rispondere ad alcune domande. Domande che mi ero appuntato qua e là sfogliando pagine che parlano dello sport che mi appassiona sotto la lente di ingrandimento di paesi la cui cultura affascina e la cui situazione geopolitica/socioeconomica preoccupa. L’Etiopia, nello specifico, è un paese che osservo da vicino da quando qualche anno fa avviai un programma di adozione a distanza. Da lì ho scoperto alcune tradizioni, sì, ma anche e soprattutto tutte le drammatiche difficoltà che la popolazione – soprattutto i più giovani – vivono sulla propria pelle.

In questo contesto difficile, la corsa diventa quindi filosofia di vita, ma ancor di più abilitatore sociale, e simbolo di speranza per tanti giovani runner. Ennesima prova, ce ne fosse bisogno, che lo sport è metafora di vita e strumento di inestimabile valore anche laddove mancano risorse base per sopravvivere.

Di seguito l’intervista, per approfondire alcuni aspetti che mi hanno particolarmente colpito:

Ciao Stefano, e innanzitutto grazie. Grazie per l’esperienza che hai deciso di raccontare, e grazie per la tua disponibilità nel rispondere a queste domande.
La prima, partiamo dall’inizio: come nasce la tua idea di partire per un’esperienza così intensa, in Africa, per poi raccontarla in un libro?

Ho sempre desiderato di poter vivere un’esperienza come questa a stretto contatto con questi campioni. Due anni fa mi sono deciso a chiedere alla mia azienda un periodo di aspettativa per partire e ho cominciato a pianificare il viaggio.

L’esperienza che racconti ha come base camp di allenamento per giovani atleti. Come sei stato accolto nei training camp che ti hanno ospitato? Cosa ti ha stupito maggiormente dell’organizzazione della vita nel campo?

Esattamente un anno prima di partire per l’Africa avevo incontrato a Brescia il dottor Rosa, che è il manager italiano che lanciò l’idea dei training camp in Africa più di vent’anni fa. Gli chiesi di poter alloggiare in quello di Kapsabet, vicino a Eldoret e lui acconsentì. Fin dal mio arrivo al training camp ho ricevuto un’accoglienza molto calorosa da parte dei ragazzi. Bene o male sapevo che non avrei trovato una struttura in stile occidentale, ma ero andato lì proprio per quello. Alla fine ci stupiremmo delle nostre capacità di adattamento a realtà così diverse dalla nostra. Quello che fa la differenza alla fine è la motivazione e la curiosità che ci animano quando intraprendiamo un’esperienza così diversa.

Tra le righe del tuo libro si intuisce che in Africa la possibilità di entrare in un training camp è anche un abilitatore sociale, che dà accesso a uno stile di vita diverso da quello al quale sono destinati tutti gli altri. È così? Come funziona la vita nel training camp?

Entrare in un training camp è un privilegio che non possono avere tutti. Si tratta di strutture pensate per accogliere atleti di alto livello e per metterli nelle migliori condizioni per allenarsi senza preoccuparsi di niente. Cibo e letto sono garantiti, e in Africa non è proprio roba da poco. Ovviamente tutti gli atleti ci provano, ad entrare, anche perché significa automaticamente trovare un manager che ti trova corse dove gareggiare, che è ciò a cui ambisce ciascun runner.

Durante questa esperienza tu stesso ti sei allenato con modalità nuove e attraversando paesaggi molto diversi da quelli a cui siamo abituati in Europa. Com’è andata?

Chiunque vada in Kenya ad allenarsi sa bene o male a cosa va incontro. Personalmente l’Africa mi ha completamente cambiato l’approccio alla corsa, arricchendolo di nuovi spunti e conoscenze. Posso dire che vivere a contatto con questi campioni e conoscere allenatori preparatissimi del calibro di Claudio Berardelli e Renato Canova è stato fantastico. I miei allenamenti erano più o meno gli stessi che svolgevo in Europa, ma la possibilità di allenarmi in quota, la mattina all’alba e a digiuno, oltre ovviamente alla possibilità di dedicarmi solo a correre, alla fine hanno fatto la differenza.

Che effetto ti ha fatto vedere Eliud Kipchoge correre dal vivo?

Devo dire che mi ha emozionato. Probabilmente è stato il più grande maratoneta della storia, per quello che ha vinto e per come lo ha fatto. Un atleta encomiabile e innovatore. Un vero lusso vederlo correre quella mattina alla pista di Eldoret.

Tra i vari capitoli del libro ci sono alcuni flashback che raccontano la storia di Martin. Raccontaci qualcosa di questo “personaggio”.

Martin Cheruyot è un atleta kalenjin di 32 anni con cui ho condiviso la camera del camp fin dal primo giorno. Ero alla ricerca di storie da raccontare, e la sua mi è sembrata interessantissima da subito. Un ragazzo con una vita durissima alle spalle, contornata da disgrazie e difficoltà di ogni tipo che ha superato con una grande forza d’animo. Nel libro ho raccontato tutto questo attraverso cinque flashback, due della sua infanzia, due della giovinezza e l’ultimo…è da scoprire.

Il villaggio di Martin
La famiglia di Martin

L’avventura che racconti si divide tra Kenya ed Etiopia. Proprio in Etiopia, come emerge dai racconti, hai affrontato forse i momenti più duri. Com’è andata con l’ambientamento, laggiù?

In Etiopia ci sarei dovuto stare solo un mese, per ultimare la preparazione prima del mio ritorno in Europa e della maratona di Vienna. Invece le cose sono andate diversamente. Dopo pochi giorni dal mio arrivo il Covid ha stravolto il mondo e non mi è rimasto che decidere se tornare in Italia immediatamente o restare. Alla fine decisi di rimanere a Bekoji, non volevo buttare tutto all’aria e poi mi rimanevano degli atleti da incontrare, dei luoghi da visitare. Non è stato semplice sopravvivere all’Africa rurale durante il Covid. Ci sono stati momenti in cui venivo insultato per la strada o mi lanciavano pietre. Tornassi indietro però rifarei tutto uguale. Non mi pento di essere rimasto. Bekoji poi ha saputo anche regalarmi più di un sorriso.

Il villaggio di Bekoji
Bambino a cavallo, a Bekoji.

Come è stato vissuto l’inizio della pandemia in Africa?

Purtroppo non bene. Nel villaggio dove ho abitato per tre mesi molte persone erano analfabete e assolutamente incapaci di comprendere un’emergenza come quella del Covid. Improvvisamente io sono diventato un capo espiatorio per via del colore della mia pelle e la gente per strada mi insultava credendo fossi una minaccia che portava il virus da lontano. Fortunatamente il governo attuale in Etiopia è molto democratico e coscenzioso, e a livello politico sono state prese tutte le misure del caso per prevenire e contenere la diffusione del Covid.

In conclusione, qual è la più grande ricchezza che ti porti dietro da questa esperienza? E quali sono i tuoi prossimi progetti?

Questa esperienza mi ha insegnato tantissime cose, dirne una sarebbe riduttivo. Ho imparato per esempio che il concetto che abbiamo in Occidente di “benessere” è molto relativo, e discutibile. Ho capito che dignità e motivazione possono essere la benzina di un essere umano anche quando degrado e povertà sembrano soffocare ogni speranza in una vita migliore. Sicuramente ho imparato più io dall’Africa che l’Africa da me. Mi piacerebbe un giorno, e spero tanto di riuscirci, di poter trasmettere tutto l’amore che provo per questo sport ai giovani, in particolare adolescenti. Credo che l’atletica leggera, come lo sport in generale, possano davvero migliorare la qualità della vita.

Grazie, di nuovo, Stefano. E grazie a voi, se avete letto l’intervista fino a qui. Non resta ora che leggere il libro per scoprire ogni sfaccettatura di questa incredibile avventura.
Buone corse!

Tra musica e ciliegi

Corse virtuali. Purtroppo a un anno di distanza siamo ancora qua. Ma non mi dilungherò, questa volta, sulla situazione attuale. Il lockdown fa male, sì, ma onestamente non ci voglio pensare.

Voglio pensare piuttosto al fatto che in questo periodo mi sento bene, che ho iniziato pian piano ad allungare le distanze di allenamento. E che ho in programma un paio di gare – virtuali, appunto – che perlomeno mi tengono vivo e mi faranno riassaporare la bellezza di indossare un pettorale.

Il prossimo weekend – durante il quale festeggerò anche il mio 37esimo compleanno – correrò per la Run the music, una corsa non competitiva per sostenere la musica e i luoghi in cui prende vita.

Una delle cose che più mi piace del mondo del Running è la possibilità di correre per supportare cause sensibili. In questo momento in Italia il mondo della cultura e della musica sono in ginocchio per via della pandemia, e per questo mi fa piacere prendere parte a un’iniziativa che sensibilizza sul tema e raccoglie fondi.

Il lunedì dopo Pasqua invece, il 5 aprile, correrò La marcia dei ciliegi in fiore. Pensate, ho sempre voluto parteciparci “davvero” ma non ne ho mai avuto occasione e quest’anno mi accontenterò di correrla virtualmente, indossando un pettorale ma percorrendo i soliti sentieri qui vicino.

Verranno tempi migliori, nel frattempo godiamoci la primavera che si avvicina e proviamo a trasformare ogni momento di corsa in una festa. Perché è l’unica festa alla quale per ora possiamo partecipare.

Ripetute: ci provo davvero

Lo ammetto, ho un segreto da confessare: non ho mai amato allenamenti “non liberi”, e ho sempre preferito il fartlek alle ripetute. Questo perché come molti sanno mi sono avvicinato alla corsa per risollevarmi e l’allenamento per me è sempre andato oltre il concetto di performance.

Il problema, però, è che quando sono troppo libero tendo a rimanere “comodo”. Sono fatto così. Per questo, tutto sommato, in 3 anni di corsa non ho registrato un sostanziale aumento della velocità media, se non in contesti di gara quando lo stato di forma era eccezionale.

Non che la velocità sia per me una cosa fondamentale, ma in questi periodi di magra, in cui le gare non esistono (anche se stanno, forse, riprendendo pian piano) mi serviva un modo per tenermi vivo.

Da qui ho pensato che forse potesse essere il caso di provare un tipo di allenamento più mirato. E ho iniziato le ripetute. C’è da dire, per altro, che è un allenamento ideale quando hai poco tempo e allenandomi io ultimamente in pausa pranzo – durante la settimana – ne sto approfittando.

Fresco fresco, dopo una ripetuta.

Dunque, ho iniziato con ripetute brevi, perché correre al massimo o quasi della mia velocità è molto impegnativo per me ora. Inizio con 1 km circa di corsa lenta, per portarmi su un rettilineo di pista ciclabile che si presta particolarmente al tipo di allenamento. Da lì parto con allunghi di 300 metri all’ottanta/novanta percento della mia velocità massima, intervallati da 300 metri di corsa molto lenta, talvolta camminata, per recuperare. Faccio 6 allunghi con 6 recuperi. Finisco poi con un paio di chilometri di corsa molto lenta.

Devo dire che, complice anche l’innalzamento delle temperature in queste ultime due settimane, arrivo alla fine abbastanza stremato. Ma mi sta piacendo, perché vedere certi tempi (ho corso allunghi sotto i 4:40 al km) mi da morale e voglia di migliorare.

Ho ripreso anche a fare plank, anche se su questo devo lavorare sulla continuità. Mentre nei weekend proverò ad allungare le distanze, cercando di non andare mai sotto ai 10km.

Insomma, vediamo come va. Nel frattempo, per gettare il cuore oltre l’ostacolo, mi sono iscritto a una gara con partenza in solitaria. Avevo bisogno di sentire ancora quelle sensazioni. Se parteciperò, non lo so. Dipende da come andranno le cose. Intanto, però, mi preparo.

Corri che ti passa: un anno in libreria

27 febbraio 2020 – 27 febbraio 2021.

Un anno fa coronavo un sogno. Mi è sempre piaciuto scrivere, non avrei mai pensato che farlo mi avrebbe aiutato a scacciare i miei demoni. Vedere il proprio nome sugli scaffali di una libreria non ha prezzo. Ma soprattutto non hanno prezzo i messaggi di persone che hanno letto la tua storia traendone speranza, forza, ispirazione. Quando, chiuso nella mia stanza, scrivevo i capitoli del libro, pensavo a quello. Alla possibilità di aiutare qualcuno.

La corsa è stata per me una rivelazione, è il minimo che posso fare è farla conoscere a più persone possibile.

Per celebrare questo momento, così profondamente simbolico per me, ho messo in fila i pensieri in un video. Spero vi piaccia.

Corri che ti passa: un anno in libreria.

Una storia

Tante storia

La mia

Quelle di tanti altri

E che cosa ho imparato?

Ho imparato che fare fatica non è poi così male

Che un’ora in mezzo ai campi di granoturco
può rimetterti al mondo

Ho imparato che i limiti sono mentali, non fisici

Che fatto è meglio che perfetto

Che è proprio vero che chi va piano può comunque andare lontano

Ho imparato che puoi correre anche quando fa così freddo che ti si congelano i pensieri

Che quando corri fai un viaggio dentro te stesso

Che a volte ti perdi, a volte ti ritrovi

Che la bellezza è ovunque, basta saperla ammirare

Ho imparato che se non corro mi manca

Che non so come facevo, prima

Ho imparato che, nonostante tutto

se corri, ti passa

Runner, non aver paura

Paura. Quell’emozione che spesso tende a rovinarci i piani. O almeno, questo vale per me. Paura che le cose non vadano bene, paura del domani, paura dell’inaspettato. Paura di non arrivare alla fine. Questo vale nella vita, ma anche nella corsa. Tutte le gare di media distanza che ho affrontato (la mezza maratona, per intenderci) hanno generato in me incertezza, paura di non arrivare al traguardo. Paura che si è poi fatta da parte verso la fine, quando ho realizzato che con le mie risorse sarei stato in grado di arrivare alla fine.

Ecco, dirò adesso una cosa che potrebbe risultare banale ma è il fulcro della questione: il primo passo per superare i propri limiti ed essere anche solo minimamente ambiziosi, è non avere paura. Non c’è modo di progettare qualcosa di importante se si è dominati dalla paura.

E allora bisogna cercare di vivere, o correre, lasciandosi trasportare da del sano entusiasmo. È la cosa migliore da fare, ma non è facile.

Io ad esempio sono fatto così. La mia storia racconta che sono programmato per aver paura. Qual è la soluzione, dunque? La consapevolezza è il primo passo.

Il secondo passo è l’impegno quotidiano nel cercare di non dare alla paura la forza di limitarci. La corsa in questo ci può aiutare perché è uno sport nel quale continuità e impegno ripagano. E nel quale il duro lavoro da i suoi frutti giorno dopo giorno. È una delle tante cose che questo sport ci può insegnare.

Gestire la paura, anche nella fatica, è quello che serve per arrivare in fondo.

Non resta che provarci dal prossimo allenamento.

Corri che ti passa (il raffreddore)

Ebbene sì, mi sono sottoposto a un esperimento per capire se fosse vero che l’attività fisica – e quindi anche la corsa – può aiutare a guarire da un raffreddore.

L’ho sempre sentito dire ma in tutta sincerità in passato non avevo mai provato a correre anche con lievi sintomi da raffreddamento.

Sabato scorso, preso dalla disperazione per l’ennesimo possibile stop agli allenamenti, mi sono deciso a provare. I sintomi erano oggettivamente lievi, i classici da raffreddore: un pò di congestione, naso che gocciola, nulla di più. Tant’è che mi sono svegliato in forze, pronto a fare la mia corsetta. Prima di lanciarmi nell’esperimento ho approfondito un pò leggendo alcuni articoli sull’argomento, e tutti erano allineati nel dire che sì, correre con il raffreddore non è una cattiva idea in generale. Bisogna ovviamente sempre ascoltare il proprio corpo (uno stato di malessere diffuso potrebbe, ad esempio, dipendere da uno stato influenzale con il quale bisogna decisamente andare cauti). Tutti gli articoli letti o quasi citavano la “regola del collo”: se i sintomi sono dal collo in su (raffreddore, lieve mal di gola), si corre; se i sintomi sono dal collo in giù (es. tosse, problemi a bronchi e polmoni, etc) non si corre. In generale poi, con la febbre, non si corre (questo articolo offre alcune info per me utili).

Insomma, constatato alla fine che tutto sommato stavo bene, mi sono vestito e sono uscito. Complice anche una giornata mite nella temperatura l’impatto con il clima invernale non è stato poi così importante. Ho tenuto la distanza da percorrere per l’allenamento ovviamente limitata, senza voler strafare. Ma in effetti le sensazioni erano buone. Sentivo una sorta di liberazione, nel muovermi.

Il giorno stesso di fatto i sintomi non sono cambiati, ma posso dire invece che il giorno dopo mi sentivo meglio, e il raffreddore è passato in tempi brevi. Ora, non voglio attribuire per forza alla corsa un potere curativo. Non ne ho le competenze. Di certo posso dire però che non ha peggiorato la lieve sintomatologia da raffreddore, quindi in futuro – quando mi capiterà – correrò.

Metti una domenica, in bici, nel parco del Ticino

Da qualche mese affianco quando posso la bici alla corsa. Si tratta di differenziare l’allenamento, sì, ma si tratta anche di fare esperienze diverse dal solito, allungando le distanze.

Ecco allora che mi sono concesso oggi un giro nel parco del Ticino, una perla lombarda, facilmente raggiungibile da casa.

La bici c’è, acquistata in estate per provare ad esplorare i dintorni in questo periodo particolare. L’itinerario non manca. Il vestiario adatto, quello sì, non c’è. E allora via di fantasia: ho adattato il guardaroba di running e montagna e ascoltato il consiglio di qualche amico esperto per vestirmi al meglio. Risultato: positivo! Piedi a parte. Per quelli, per tenerli caldi, devo studiare qualche soluzione diversa dal doppio paio di calze.

Il giro parte da casa, con un freddo a dir poco pungente. Un freddo che ti entra dentro. Ma la strada sterrata, i colori della campagna in inverno, le pozzanghere ghiacciate sulle quali scheggiare rendono tutto meno congelato e scaldano il cuore. Attraverso la campagna si giunge sulla sponda del Ticino, e lì ad attenderci il bosco coi suoi sentieri, i suoi saliscendi, i sui ghirigori. Il freddo mano a mano si mitiga, anche grazie alla bellezza del panorama. Il fiume scorre veloce, tra ponti e cascate.

Il percorso è sfidante, tutto sommato, per un neofita come me. Alcuni tratti impegnativi mi mettono alla prova. Concludo il tratto nella selva senza rischi, fortunatamente.

È tempo di rientrare. Si ripassa tra le ‘mie’ campagne, verso casa. Un paio d’ore, 1400 calorie, 33 km. Tanto, forse troppo freddo.

Ma pronti per la prossima avventura.

Runner Extralarge nella neve

2021

Ci sarebbero tante, forse troppe cose da dire su questo 2020. Credo che ognuno di noi abbia avuto, nel bene e nel male, la possibilità e il tempo di trarre le proprie conclusioni su cosa è davvero importante nella vita, alla fine di tutto.

Senza divagare troppo, e restando in tema corsa, il discorso per me è davvero semplice. Come ho già avuto modo di dire più volte, dobbiamo ricordarci che correre è un privilegio e che se abbiamo la fortuna di avere come unica preoccupazione quella di capire che allenamento fare, dobbiamo esserne consapevoli. E grati.

Il 2020 ci ha dimostrato che in poco tempo le cose possono precipitare e che chi ha la fortuna di non soccombere ha tante risorse diverse per resistere. Una di queste è perdersi nella natura. Qualsiasi sia lo sport che ti piace, qualsiasi sia la condizione climatica (salvo emergenze), la ricchezza sta nel poter trascorrere del tempo con te stesso in quei posti magici dove sai di poter restare solo.

Dove ascoltare il silenzio, rotto solo dal rumore dei propri passi o dal proprio respiro. Uno dei privilegi che ho scoperto di avere senza che me ne fossi mai accorto.

Il percorso di consapevolezza intrapreso quasi 3 anni fa ormai, mi ha permesso di essere pronto e di tenere botta in un periodo difficile come quello che abbiamo attraversato.

Il mio augurio, per me e per tutti, è quello di iniziare o proseguire questo percorso di consapevolezza. Quella consapevolezza che ci porta a scoprire i privilegi, e a viverli come tali.

Buon 2021.

Natale e bilanci

Amici runner, in un anno come quello che sta per concludersi diventa difficile anche tracciare bilanci. Soddisfatto? In generale non lo sono mai. Che sia un pregio o un difetto non l’ho ancora capito, ma è così, mi accontento raramente. Quindi no, non sono soddisfatto. Dopo 3 mezze (quasi 4, con una gara da 18) nel 2019 avevo in mente grandi traguardi, grandi sogni, grandi ambizioni. Il 2020 ha cambiato tutto. Era già iniziato male con uno strano infortunio alla schiena che mi aveva bloccato per un mese. Poi la pandemia, che ha scombinato i piani del mondo intero. Da lì una serie di riflessioni importanti: quali sono le priorità? Cosa è davvero importante?

Correre nel 2020 è stato un privilegio: chi ha potuto farlo non ha dovuto preoccuparsi di altro. E pazienza allora se il PB non è stato migliorato o se il Garmin mi attribuisce uno stato di forma patetico, verranno tempi migliori, per tutto. Speriamo.

Per il resto, privilegio, dicevo: avere una finestra tutta per sè, godersi il silenzio della natura, ascoltare il proprio respiro. Ripartiamo da qui per il 2021. Il resto, sono convinto, verrà da se.

E se proprio vogliamo fare qualcosa per questo Natale un po’ strano, scegliamo una causa a cui donare e corriamo una distanza per noi simbolica che ci aiuti a ricordare che se possiamo correre, a noi così male non va.

Buon Natale, a chi corre e a chi no!